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Microplastiche: l’enorme problema ambientale

da Elisabetta Rota
2 commenti

Articolo a cura di Elisabetta Rota e Rosa Donadio

Cosa sono le microplastiche, un problema presente anche nel Mare

Nostrum e che ha effetti sulla vita di tutti i giorni.

Indice Argomenti:

‘Più passano gli anni più la “plastica” diventa sinonimo di “emergenza globale”, dalla famosa Greta Thunberg alla meno conosciuta Zion Lights sono sempre più i giovani che si battono per un ambiente e un futuro più sano.

Purtroppo, però, la messa al bando dei sacchetti non biodegradabili, l’eliminazione di imballaggi superflui e riusare o riciclare oggetti in plastica non basta, il problema va osservato molto più da vicino in quanto quando si parla di inquinamento da plastica si fa riferimento principalmente alla vasta diffusione delle microplastiche; basti pensare che nel 2017 l’ONU dichiarò che nei mari ci sono cinquantunomila miliardi di particelle di microplastica, cinquecento volte più numerose di tutte le stelle della galassia. Le microplastiche sono frammenti piccolissimi, quasi invisibili, che si sono formati in seguito alla frammentazione di prodotti macro-plastici (piatti, cannucce, bicchieri etc).

Ma quanto sono piccole le microplastiche?

Il frammento viene definito tale quando le dimensioni sono comprese tra i trecentotrenta micrometri e i cinque millimetri. Esistono due tipi di microplastiche: sono primarie le particelle di plastica con una grandezza che è ben al di sotto dei cinque millimetri e che vengono prodotte volutamente dalla filiera industriale e utilizzate all’interno di prodotti di cosmesi o di pulizia della casa per aumentare l’azione abrasiva dei prodotti.

Le microplastiche secondarie, invece, si formano durante l’uso o il non-corretto smaltimento di oggetti di plastica a causa della “fase di decomposizione” che può durare anche molti decenni in base all’azione dei microbi, dalle temperature, dalla forza del vento, dai raggi ultravioletti e, se gettati in mare, dal movimento delle onde.

 

Microplastiche nel Mar Mediterraneo e nel Golfo di Napoli

Il fenomeno delle microplastiche primarie è quello che ci riguarda più da vicino in quanto nel Mediterraneo è stimato un flusso di 13.000 tonnellate/anno delle quali fanno parte prevalentemente polvere di pneumatico con ben il 53%, seguita dai prodotti tessili che raggiungono il 33% e dalle microsfere dei cosmetici che ne compongono il 12%. Nel Mare Nostrum, dunque, si riscontra un’enorme presenza di microplastiche comparabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico, con i picchi più alti rilevati nelle acque di Napoli ma anche in aree marine protette come le Isole Tremiti di Foggia.

Tutto ciò è reso possibile anche dal fatto che il Mare Mediterraneo è collegato all’Oceano Atlantico solo dallo stretto di Gibilterra ed ha una conformazione semichiusa, circondata da tre continenti che agiscono come trappola per i detriti di plastica.

È un mare che subisce la pressione antropica di oltre 150 milioni di persone, le quali producono in media tra i 208 e i 760 kg all’anno di rifiuti solidi; il suo bacino raccoglie inoltre le acque di diversi fiumi provenienti da territori altamente popolati e portatori, anch’essi, di inquinanti e di plastiche come il Nilo, il Rodano e il Po.

Sugli effetti delle microplastiche sull’habitat marino del Golfo di Napoli si concentrarono nel 2019 gli scienziati della Stazione Zoologica ‘Anton Dohrn’ di Napoli coordinati dal biologo marino francese Christophe Brunet. Attraverso due gruppi di 3 reti cilindriche, ciascuna lunga circa 15 metri, collocate nelle acque del golfo, gli scienziati poterono studiare quello che accadeva nelle 6 colonne d’acqua contenenti la stessa fauna e flora del resto della costa napoletana; i risultati indicarono la presenza di effetti diretti e indiretti delle microplastiche su tutto l’ecosistema marino sia a livello microscopico che macroscopico.

Le microalghe tendono ad attaccarsi e a crescere sulle microplastiche, modificandone dimensione, densità e distribuzione spaziale nell’acqua, così facendo esse diventano più appetibili per i crostacei e i pesci che se ne nutrono, finendo per entrare nella nostra catena alimentare.

La microplastica è un rischio per la salute umana?

È chiaro, ormai, che la microplastica è onnipresente in tutte le aree acquatiche e terrestri. Quindi è davvero strano pensare che queste siano presenti anche nel cibo che mangiamo? Ebbene no, sembra invece ovvio. Diversi studi hanno rilevato frammenti di microplastica in alimenti comuni come miele, zucchero, sale, pesci, gamberi e bivalvi con statistiche che mostrano i seguenti livelli medi di inquinamento da microplastica:

  • 1.48 particelle/L nei frutti di mare
  • 0.44 particelle/L nello zucchero
  • 0.10 particelle/L nel miele 
  • 0.11 particelle/L nel sale

Sorpresi?

Beh, non è tutto. Studi recenti hanno dimostrato, mediante campionamenti sperimentali effettuati su acqua da rubinetto, imbottigliata e di sorgente, che la microplastica è presente in TUTTE le fonti d’acqua, mostrando livelli medi di inquinamento del 4.23 particelle/L per l’acqua da rubinetto e di ben 94.37 particelle/L per l’acqua in bottiglia.

Si stima, infatti, che un individuo che ingerisce solo acqua in bottiglia consuma potenzialmente 90.000 particelle di plastica in più rispetto a chi beve solo acqua di rubinetto. State rivalutando l’acqua del rubinetto, confessate!

 

Questi risultati indicano chiaramente che la catena alimentare è una delle principali fonti di consumo di microplastica da parte dell’uomo, ma il cibo non è l’unica modalità di accesso nel nostro organismo: la microplastica viene anche inalata.

Gli ambienti interni contengono particelle di plastica trasportate dall’aria che derivano principalmente da tessuti tessili sintetici mentre negli ambienti esterni, l’esposizione può avvenire attraverso la respirazione di aerosol contaminati dalle onde oceaniche o di particelle di fertilizzanti trasportate dall’aria provenienti dal trattamento delle acque reflue essiccate e anche dal consumo degli pneumatici in gomma.

E per non farci mancare nulla, la microplastica può accedere nell’organismo anche tramite contatto con la pelle attraverso ferite, ghiandole sudoripare e follicoli peliferi. Come? Con l’utilizzo di quei tanto costosi prodotti di bellezza, in particolare di scrub viso e corpo, che ci promettono di migliorare la salute della pelle ma che non sanno di compromettere altro.

Quali sono gli effetti di inquinamento da microplastica sulla salute dell’uomo?

Date le piccole dimensioni, le microplastiche una volta ingerite o inalate raggiugono il sistema linfatico e circolatorio causando un accumulo nei tessuti e negli organi come il fegato, reni, cervello e placenta.

Sono stati condotti diversi studi sia in vitro (su cellule umane) che in vivo, sui roditori, che hanno dimostrato che queste piccole particelle di plastica possono causare effetti biologici come danni cellulari, reazioni infiammatorie e immunitarie, danni al DNA così come effetti neurotossici e metabolici.

Sono ancora poco noti, però, i meccanismi molecolari che intervengono in questi processi ma la ricerca, si sa, richiede un po’ di pazienza. Un’altra proprietà interessante sull’azione delle microplastiche, ancora poco studiata, è la presenza di una eco-corona o biocorona, cioè un mix di molecole e microorganismi che si trovano sulla superficie delle particelle di plastica.

Ma come si forma la biocorona? La plastica, una volta che giunge in mare, viene immediatamente rivestita da molecole organiche e inorganiche. Questo tappeto di molecole offre le condizioni ideali a molti microorganismi come batteri, microalghe, protozoi e funghi, di aderire alla microplastica e proliferare.

Questa corona di microorganismi rende la microplastica “appetibile” da molti organismi marini entrando così nella catena trofica; così come queste particelle di plastica interagiscono con l’ambiente e gli organismi marini, così la formazione di questa corona potrebbe essere caratterizzata dall’interazione della plastica con il corpo umano (lipidi e proteine adsorbite) influenzandone il destino, l’assorbimento e gli effetti nell’uomo.

Il primo passo

Le conoscenze sulla tossicità delle microplastiche sull’uomo sono ancora limitate, programmi di ricerca multidisciplinare come “Microplastics & Health nei Paesi Bassi e il programma di ricerca dell’Unione Europea Horizon 2020” si stanno impegnando a risolvere alcuni dei problemi relativi alla microplastica coinvolgendo scienziati del settore ambientale e medici. Per aumentare il benessere nostro e degli ecosistemi bisogna, però, che anche noi nel nostro piccolo facciamo attenzione ai gesti e alle azioni irrispettose che compiamo verso l’ambiente; informarsi sulle linee guida su come ridurre il proprio consumo e dunque l’inquinamento da plastica, può essere il primo passo per un pianeta meno contaminato. 

Fonti:

Articolo a cura di Elisabetta Rota e Rosa Donadio

Leggi anche:

Microplastiche nelle feci umane

Microplastiche nelGolfo di Napoli, primi risultati

Sentinelle del Mare nel Golfo di Napoli per il  Monitoraggio delle microplastiche

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2 commenti

Rita Ferrara 06/06/2022 - 19:24

Ho trovato l’articolo molto interessante e informativo, poiché parla di un argomento molto importante per noi cittadini. Le informazioni presenti dovrebbero metterci in allarme e far si che le persone capiscano il danno che provoca la plastica. Dovremmo assumerci le nostre responsabilità e comportarci di conseguenza. Complimenti ad entrambe le giornaliste.

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fondali_admin 07/06/2022 - 19:52

Grazie Rita, siamo contenti che ti sia piaciuto questo contenuto. Continua a seguirci !

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