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La delfinoterapia: un aiuto speciale

da D. De Stefano
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Avete mai sentito parlare di pet-therapy? Con questo termine si intende, generalmente, una terapia dolce basata sull’interazione tra uomo e animali. Si tratta di un metodo che integra, rafforza e coadiuva le tradizionali terapie e può essere impiegata su pazienti affetti da differenti patologie con obiettivi di miglioramento comportamentale, fisico, cognitivo, psicosociale e psicologico-emotivo. (clicca Mi Piace e continua a leggere)


 Ebbene, una variante della pet-therapy (che prevede solitamente

l’impiego di cani, gatti e cavalli), riguarda anche i delfini. É stato infatti provato che anche in questo caso si ottengono molti benefici nei pazienti malati, soprattutto di autismo. Sembra, per esempio, che il verso dei delfini, che è composto da ultrasuoni che vanno dai 20 mila ai 150 mila Hertz, sia in grado di stimolare la produzione di endorfine nel cervello. La DAT (Dolphin Assisted Therapy) venne pensata dai ricercatori Betsy Smith e David Nathanson negli anni Settanta: i due professori della Florida International University di Miami ipotizzarono che grazie al contatto coi delfini, giocosi e allegri di natura, si potessero migliorare gli effetti delle terapie mediche comuni e dei farmaci somministrati a pazienti malati. La stessa conformazione del delfino, che ha una bocca che sembra sempre sorridere, è in grado di trasmettere la serenità necessaria alle cure cui sottoporsi. La delfinoterapia consiste essenzialmente nel nuotare con gli animali, toccarli, giocare e lasciarsi portare aggrappandosi a loro. Gesti semplici ma in grado di avere degli effetti miracolosi. É efficace nei casi di depressione, autismo e in molte malattie psichiatriche: entrare a contatto con un delfino, nuotare con lui e accarezzarlo stimola la capacità di comunicare, soprattutto se questo avviene quando ci si immerge in acqua. L’animale è molto intelligente e riesce ad assumere comportamenti giocosi ogni volta diversi e originali: entrando in contatto con soggetti autistici è in grado di rompere quella spirale di ripetitività tipica di coloro che sono affetti da tale malattia. Il delfino è in grado inoltre di aumentare l’autostima del soggetto, la capacità di memorizzare informazioni e di elaborarle, l’attenzione, la fiducia in se stessi, la coordinazione motoria, le facoltà linguistiche, la percezione di sé nello spazio e di migliorare il rapporto con gli individui che lo circondano. I delfini hanno una sensibilità molto spiccata e sono in grado di comprendere il linguaggio del corpo degli esseri umani: se ne deduce facilmente la genialità di coinvolgerli nel trattamento dei bambini molto fragili, con esigenze particolari e altrettanto sensibili. Il cervello del delfino è molto sviluppato, quasi come quello dell’uomo, ed è capace di riconoscere quasi 50 suoni, parole e simboli diversi; sa riconoscere anche l’ordine delle parole all’interno di una frase e sa reagire di conseguenza qualora l’ordine, e quindi il comando, viene pronunciato in un modo o nell’altro dall’addestratore. Purtroppo, la delfinoterapia non viene riconosciuta dalla medicina tradizionale nonostante i notevoli risultati ottenuti negli ultimi quarant’anni grazie a questo animale. Questa variante della pet-therapy è ancora poco diffusa in Italia e pochi sono coloro che possono usufruire di tale aiuto, ma il Ministero dell’Ambiente ha finanziato un progetto terapeutico nelle Cinque Terre: il lavoro con i delfini viene svolto in mare aperto, per non interferire col trattamento (in Italia tale pratica è riconosciuta con Disegno di Legge n. 3393 – 16a Legislatura). C’è chi crede, infatti, che tenere i delfini in cattività possa in qualche modo condizionare negativamente l’efficacia della terapia e qualora questo sia possibile, si preferisce evitare la piscina.

Rispetto per il delfino e per tutti gli animali coinvolti nella pet-therapy quindi, così come dell’uomo e della natura in ogni sua espressione. 
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