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“Sgarrupo mon Amour”, di Monica Romei

da D. De Stefano
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Spiaggia dello Sgarrupo, Erchie (SA)
Chi l’avrebbe mai detto che il paradiso si trovasse a dieci minuti dalla città, nascosto dietro una piazzola di sosta sulla strada costiera? Scavalchi il parapetto, scansi una vecchia ed arrugginita recinzione e scendi dieci gradini di cemento: eccolo, lo Sgarrupo!
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Una piccola spiaggia di ciottoli bianchi, un piccolo gioiello della natura dai riflessi verde e azzurro che si affaccia sul golfo di Salerno, incastonata e ben nascosta tra il verde dei limoneti e il grigio delle rocce: raggiungibile solo via mare ed inaccessibile per chi non è pronto ad affrontare il dirupo di circa 30 metri appena finiti quei comodi dieci gradini. Da qui il suo famoso nome: per raggiungere questo incredibile mondo devi stare attento a non sgarruparti, a non scivolare dalla parete ormai consumata dal passaggio di tanti avventori e a non perdere l’equilibrio nei punti più scoscesi, sperando che lo sperone di roccia su cui hai deciso di scommettere non ti tradisca nel tentativo di raggiungere il tuo posto al sole prima degli altri. Per i veri abitanti di questa spiaggia, la montagna ormai non ha più segreti: puoi scendere a piedi nudi o anche con gli infradito. Ma per i novizi la parola d’ordine resta sempre: schiena lungo la parete e non guardare giù.
Non sopporto quelli che comodamente arrivano al nostro paradiso in barca, perché lo Sgarrupo lo devi sudare e faticare; solo così sei davvero parte di una comunità e di una cultura. Sì perché questo luogo ha i suoi storici ‘residenti’ con tanto di Sindaco liberamente investito dagli affezionati ed ha le sue abitudini che però non prendono mai il sapore del già visto.
Tolleranza dell’altro, libertà e rispetto prima di tutto per Madre Natura sono quei valori che respiri se hai superato il battesimo del dirupo. Il mosaico colorato di teli da mare che vedi in vetta, si trasforma in un’infinita possibilità di entrare in relazione con l’altro nell’intima vicinanza dei corpi al sole. Quando arriva il momento del beach volley selvaggio, impari in fretta a non lamentarti se ti arriva il pallone mentre sei disteso inerme e rilassato sui ciottoli: è uno spettacolo che si ripete ogni anno a cui nessuno puoi sottrarsi! In realtà ci sarebbe un modo, ma non vi aspetterete certo che lo riveli così facilmente in questo articolo?!?
Ogni volta che scendi, il tempo sembra scandire un altro ritmo, quello naturale della lentezza: arrostire al sole e rinfrescarsi in quell’acqua trasparente è la migliore risposta al convulso ‘mondo di sopra’. Solo l’arrivo del primo pomeriggio ti fa tornare alla realtà. Si assiste alla diaspora verso quell’ingrossamento della parete rocciosa a sinistra della spiaggia, che diventa l’ultimo baluardo di tepore che sopravvive al mantello di ombra, sopraggiunta tutto intorno. Eccoli, i rettiliani a sangue freddo, disposti ad arrampicarsi su quello sperone in alto che assomiglia tanto ad uno scranno: chi sarà il solo ad essere baciato dall’ultimo raggio di sole?
Nello stesso istante, se guardi nel lato opposto potrai trovare il solito gabbiano di vedetta che scruta l’orizzonte in attesa di prendere il volo: sembra quasi che sotto il becco stia ridendo di noi, bipedi invasori di quel luogo, quando in realtà è lui l’indiscusso sovrano di quel paradiso.
C’è una ragione se questa spiaggia selvaggia e spettinata sopravvive ancora alla barbara invasione dei lettini e degli ombrelloni: non è legenda ma vera azione di rivolta. Attenti a chi ci prova di nuovo! La resistenza è sempre pronta a scaraventare in mare i simboli di quel vivere in spiaggia comodo e consumistico, lo Sgarrupo è libera spiaggia e resterà sempre così.
Certo, siamo sempre nel Sud Italia e quindi anche il nostro piccolo mondo è sempre minacciato dalle barche che sconfinano quasi fino a toccare terra e dalle buste di spazzatura! Ai ‘distratti’ che lasciano i rifiuti pensando che qualcuno verrà a raccoglierli, resta il monito del maestro De Filippo che li attende prima della risalita … qual è? Scendete allo Sgarrupo e scoprirete anche questo!
a cura di Monica Romei

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