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Fast fashion: la moda che distrugge l’ambiente

da Emanuela Bervicato
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Fast Fashion

In una società fortemente consumista che va alla continua ricerca di nuove tendenze, il settore della moda risponde con il fast fashion. L’industria del mercato della moda è in grado di produrre in tempi brevissimi grandi quantità di capi a bassissimo costo. Cosa c’è dietro questa macchina apparentemente perfetta? La domanda di consumo è molto alta e, fin quando lo sarà, le aziende di fast fashion aumenteranno sempre di più. I loro punti forti sono i tempi di produzione e i costi. Questi due fattori consentono una vendita accessibile a tutti.  Un tipo di produzione che punta alla quantità piuttosto che alla qualità non tenendo conto, non solo, della scelta dei tessuti ma soprattutto dell’impatto ambientale che provoca.

L’impatto ambientale del fast fashion

Il fast fashion ha un impatto ambientale da non sottovalutare. Questo tipo di produzione rapida ed economica esercita una forte pressione sull’ambiente e sul clima in quanto ricorre all’uso smisurato di acqua e suolo, materiali tessili, emissioni di gas serra e sostanze chimiche. Secondo alcuni dati raccolti dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEE), nel 2020 il settore tessile in Europa ha consumato 4.000 milioni di metri cubi di acqua blu cioè di acqua dolce e 20.000 milioni di metri cubi di acqua verde cioè di acqua piovana. Inoltre, occupa la quinta posizione come settore con il maggior impatto ambientale in quanto nello stesso anno ha prodotto emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate di CO2. Numeri importanti e davanti ai quali, data l’emergenza ambientale del nostro paese, è impossibile chiudere un occhio. In percentuali, il fast fashion produce circa il 10% delle emissioni globali di gas serra a cui si somma il 20% di inquinamento delle acque potabili e le  0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari.

In un mare di microplastiche

L’impatto ambientale del fast fashion riguarda anche e soprattutto l’inquinamento idrico. In un mare di capi alla moda e di tendenza, i nostri mari rischiano di diventare vere e proprie discariche. Secondo l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile l’8% delle microplastiche europee negli oceani proviene dai tessuti sintetici. Esse vengono rilasciate durante i primi lavaggi dei capi ed essendo molto piccole difficilmente sono filtrabili dai sistemi di depurazione. Al lavaggio si aggiungono i processi di tintura e finitura dei capi, anch’essi responsabili dell’inquinamento delle acque. I coloranti chimici, a causa della loro tossicità, possono causare gravi danni agli ecosistemi marini e contaminare le acque provocando significative alterazioni. Alterazioni che intaccano la salute della flora e della fauna marina.

Spesso l’inquinamento deriva dal mal gestito smaltimento dei rifiuti tessili, dallo scarico illegale. La presenza di capi nelle acque rappresenta un pericolo per molte specie marine.

Una scelta per l’ambiente

Alla luce dei gravi danni all’ambiente causati dall’industria del fast fashion, l’Europa si impegna alla promozione e all’attuazione di una strategia tessile sostenibile e circolare. L’ agenda 2030 mira al riciclo.  La moda sostenibile è una scelta per noi stessi e per l’ambiente. Ridurre significativamente la sovraproduzione e il sovraconsumo migliorerebbe le condizioni dell’aria, dell’acqua e del suolo. La moda sostenibile potrebbe essere la soluzione, rispetta l’ambiente e tiene conto dei mezzi e degli strumenti di produzione di un capo. Una moda lungimirante che va oltre le tendenze, tutela la società, l’ecosistema e protegge le acque, i mari e le loro specie.

 

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