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L’Amore eterno: Capri e Vesuvio

da D. De Stefano
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Nella cultura popolare partenopea hanno sempre avuto un ruolo primario le storie di fantasmi, di leggende e di personaggi misteriosi.
 Si comincia con la leggenda di Donn’Albina, Donna Romita e Donna Regina, per arrivare a storie come quella di Maria d’Avalos e Donn’Anna Carafa, passando attraverso le vicende riguardanti la Basilica di San Lorenzo Maggiore, per finire col munaciello e la bella ‘Mbriana.

C’è una leggenda, magistralmente raccontata da Matilde Serao nel suo libro Leggende napoletane, che echeggia ancora tra le onde del mare. 
“”Tanto tempo fa, a Napoli viveva un giovane alto e possente il cui nome era Vesuvio. Doveva incutere paura, ma a chi lo osservava, appariva come un gigante buono, simile com’era ad un monte ricoperto da ricca vegetazione la cui cima, talvolta, nelle giornate invernali, era nascosta da nubi bianche e soffici che lo occultavano alla vista dei viaggiatori. L’apparenza, però, ingannava e il tempo svelò ciò che questo giovane custodiva gelosamente in sé. Vesuvio dormiva un sonno apparente e nel cuore, nella parte più nascosta, racchiudeva gelosamente, come in uno scrigno, sentimenti dolcissimi e tenerissimi che premevano per farsi conoscere.
Un giorno, in una mattinata calma e limpida, vide una Ninfa incantevole, bella come un gioiello rarissimo e purissimo che s’impossessò del suo cuore e non gli permise più di ragionare. Sembrava quasi impazzito e la sua mente fu occupata da un unico ed ossessivo pensiero: conoscere la fanciulla! Finalmente raccolse tutto il coraggio e si decise a rivolgerle la parola.
Dopo un po’ di tempo, la Ninfa si addolcì e decise di incontrare il giovane che riuscì a conquistarla con la sua corte. I due trascorrevano insieme intere giornate e il loro sentimento cresceva attimo dopo attimo.
Tutto procedeva per il meglio ma, quando sembrava oramai che il sogno d’amore potesse essere suggellato da una giusta unione, Vesuvio e la sua amata furono contrastati dalle famiglie.
In special modo i Crapra, ricchi e nobili, si accanirono contro il giovane, ritenendolo non all’altezza della figlia. Si adoperarono per separarli e costrinsero la giovanetta ad alloggiare presso parenti che abitavano al Capo della Minerva.
Non fu una buona risoluzione!
La lontananza, infatti, ebbe l’effetto contrario: l’amore si rafforzò, ma con esso anche la tristezza. La povera fanciulla era così disperata che niente e nessuno riusciva a lenire il dolore.
Invogliata, anzi costretta dai parenti, un giorno uscì in barca. Remava senza alcuna voglia. Non provava gioia neanche alla vista del panorama che si stendeva dinanzi ai suoi occhi. L’azzurro del mare e del cielo, il dolce planare dei gabbiani, lo stesso calore del sole non erano così forti da farle dimenticare, nemmeno per un solo istante, il suo immenso dispiacere. Ogni momento vissuto in quel paradiso naturale fu occupato dal ricordo del bene amato, dalla sua bellezza e dall’amore negato.
Convinta che ormai non avrebbe più rivisto Vesuvio, si gettò in acqua e, lasciandosi avvolgere dall’abbraccio caldo del mare, scomparve nelle sue profondità, portando negli occhi e nel cuore l’immagine del suo innamorato.
L’amore, però, con la sua forza può rendere meno crudele la realtà!
Le divinità marine, mosse a pietà per il triste destino di questa fanciulla, pensarono di ridarle la vita in un modo singolare.
In una calda giornata in cui il sole risplendeva fulgido nel cielo e il mare era calmo, fecero sorgere un’isola bella e leggiadra che ricordava la fanciulla amorevolmente accolta nel loro regno: si chiamava Capri. Il tempo trascorse e la notizia della morte della dolce fanciulla arrivò a Vesuvio che impazzì dal dolore. In preda alla disperazione più folle, incominciò a gettare fuori enormi sospiri di fuoco, trasformandosi lentamente in una montagna chiamata poi Somma.
Ancora oggi, dall’alto della sua possanza, enorme e minaccioso, si guarda intorno e i suoi occhi si colmano di dolcezza solo quando guarda la sua amata Capri che è lì, di fronte a lui.
Allora si distende nel mare quasi a racchiudere l’isola in un abbraccio protettivo.
Vi sono, però, momenti in cui il dolore diventa insopportabile, la furia lo prevarica, ricomincia a sospirare tumultuosamente e fuoco,fiamme, cenere, lapilli gli fuoriescono dalla bocca. E’ proprio durante queste collere spaventose che ci si pente di non avergli concesso ciò che tanto desiderava.

A cura di Anna Cozzolino

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