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Sebastião Salgado: un obiettivo puntato sull’anima del pianeta

da Isabella Brendler
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Questa settimana il mondo ha perso uno dei suoi più grandi narratori visivi: Sebastião Salgado. Il celebre fotografo brasiliano è scomparso all’età di 80 anni, lasciando un’eredità che trascende l’arte e si inserisce nella lotta per la dignità umana e la salvaguardia dell’ambiente. Il suo sguardo sensibile e profondo ha catturato molto più che semplici immagini: ha rivelato verità, denunciato ingiustizie e celebrato la bellezza resiliente della Terra e dei suoi abitanti.

Una carriera memorabile

Sebastião soffriva da tempo di una malattia sanguigna dopo aver contratto la malaria in Indonesia e non essere riuscito a curarla adeguatamente. Per questo motivo l’anno scorso si era ritirato dal lavoro sul campo, affermando che il suo corpo stava risentendo degli effetti di tanti anni di duro lavoro in ambienti inospitali. E in effetti Sebastião non conosceva limiti quando si trattava di ritrarre la natura, sia quella abitata dall’uomo sia le parti più selvagge e incontaminate del globo. Ha viaggiato in più di 120 paesi ricevendo numerosi premi nel corso della sua carriera. È stato membro dell’Accademia francese di belle arti, ambasciatore dell’UNICEF e membro onorario dell’Academia delle arti e delle scienze degli Stati Uniti.

Una delle sue foto più iconiche, “Serra Pelada“, è stata inclusa dal New York Times nella selezione delle 25 immagini che definiscono la modernità dal 1955. Il quotidiano ha sottolineato l’impressionante portata e la forza visiva della composizione, scattata nel 1986, un’epoca in cui far circolare una foto in tutto il mondo, o persino lasciare il Brasile, non era così semplice come lo è oggi. La Serra Pelada, nel cuore della foresta amazzonica, è diventata famosa come il più grande sito minerario a cielo aperto del mondo e Sebastião altrettanto come fotografo.

La fotografia "Serra Pelada" - Foto: Divulgazione Instituto Terra / Sebastião Salgado

La fotografia “Serra Pelada” – Foto: Divulgazione Instituto Terra / Sebastião Salgado

Una storia iniziata con l’amore

Sebastião Salgado nasce nel 1944, ad Aimorés, nell’entroterra di Minas Gerais, in Brasile. Laureato in economia, iniziò la sua carriera di fotografo solo a partire dagli anni Settanta, dopo essersi trasferito a Parigi con la moglie, l’architetto e fotografa Lélia Wanick Salgado. Fu proprio lei a incoraggiarlo a seguire la sua passione per la fotografia. Ed è con lei che ha condiviso non solo una vita, ma anche una missione: usare l’arte come strumento di trasformazione sociale e ambientale.

Il suo lavoro divulgativo ha attraversato cinque continenti, documentando tutto, dall’arida realtà dei rifugiati africani alla lotta dei lavoratori rurali in America Latina, fino alla devastazione della foresta pluviale amazzonica. Tra le sue opere più note ci sono le serie “Workers”, “Exodus” e “Genesis”. Quest’ultima è un vero e proprio omaggio alla natura incontaminata del pianeta, uno sforzo visivo per riconnettere l’umanità alle sue origini e alle sue responsabilità.

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Copertine dei principali libri di fotografia di Sebastião Salgado – Divulgazione / Sebastião Salgado

Attivismo oltre l’immagine

Ma Salgado non ha lavorato solo dietro l’obiettivo. Insieme a Lélia ha fondato l’Instituto Terra, una ONG impegnata nel ripristino della Foresta Atlantica con sede nella fattoria di famiglia a Minas Gerais. L’area, precedentemente degradata dall’allevamento del bestiame, è stata completamente rimboschita con milioni di alberi autoctoni piantati nell’arco di due decenni. Il progetto è diventato un esempio internazionale di rigenerazione ambientale, ispirando politiche pubbliche e azioni di riforestazione in numerosi Paesi.

Per noi che lavoriamo per la salvaguardia dell’ambiente, Sebastião Salgado è un riferimento etico ed estetico. Il suo lavoro ci ricorda che la fotografia è un linguaggio potente, capace di sensibilizzare, commuovere e mobilitare. Ha mostrato al mondo che la crisi ambientale è anche una crisi umana e che preservare il pianeta significa, in ultima analisi, preservare noi stessi.

So che non vivrò ancora a lungo. Ma non voglio vivere ancora a lungo. Ho vissuto così tanto e visto così tanto“, dichiarò al Guardian nel 2024. Adesso ci ha lasciati, ma le sue immagini restano e sono un dono per il mondo. Continueranno a riecheggiare, a provocare, a toccare le coscienze. Il suo lavoro sarà fonte di ispirazione per una nuova generazione di attivisti, artisti e cittadini impegnati per un futuro più giusto, solidale e sostenibile. •

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