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“Apnea mon amour” Di Prof. Peppe Volpe

da D. De Stefano
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Non riusciremo mai a capire come mai l’uomo, a differenza di altri mammiferi, non abbia stabilito di vivere nel mare. Forse fu spinto dall’innata curiosità verso un ambiente nuovo, dal frastuono dei rumori,
dal tepore del sole, chissà. Sta di fatto che è terrestre, non marino. E però l’istinto lo tradisce, con il cosiddetto “riflesso d’immersione”, che detto in altri termini, si rivela ogni qual volta l’uomo al cospetto del mare (cioè sempre…) sente il bisogno di immergersi in apnea…

 D’altronde, trattenere il respiro e andare sott’acqua è la cosa più semplice di questo mondo. Ed è anche, quindi, la più istintiva.E lo snorkeling, dove lo mettiamo? Lo snorkeling è un’acquisizione moderna dello stesso istinto, dello stesso desiderio di “far parte della natura”. La differenza consiste nell’ assistere ad uno spettacolo teatra le, o cinematografico, o televisivo e, invece, essere parte attiva, attori di una data rappresentazione. Volete mettere? Guardare dalla superficie un pesciolino su di uno scoglio, oppure scendervi vicino, lentamente, nell’inutile ma bellissimo tentativo di accarezzarlo?
     E poi l’apnea, se noi la pratichiamo senza esasperazione, ci consente di esplorare delle nostre possibilità, delle nostre caratteristiche. Mediante l’apnea, noi impariamo a conoscerci. Dice bene Umberto Pellizzari che di queste cose se ne intende, dall’alto…, pardon, “dal basso”, dei suoi record sportivi:
 “Quanto ti immergi con le bombole, ti guardi intorno. Quando ti immergi in apnea, ti guardi dentro.”
     Attenzione, però, a non trasformare l’apnea in una terribile pratica di sterminio, per chi riuscisse a sviluppare una notevole capacità di resistere senza respirare anche per due minuti (limite oltre il quale si diventa specialisti). Al riguardo, è illuminante il ricordo di Enzo Maiorca:
 “E’ avvenuto tutto all’improvviso. Mi ero immerso in una secca poco lontana dal capo protendendosi verso il mare aperto chiude a sud baia di Siracusa. Quella mattina mi accadde di arpionare una cernia.
       Una cernia robusta, combattiva. Si scatenò sul fondo una vera e propria lotta titanica fra la cernia che pretendeva di salvare la sua vita e per me che pretendevo di togliergliela. La cernia era incastrata in una cavità fra due pareti; cercando di rendermi conto della sua posizione,  passai la mano destra lungo il suo ventre. Il suo cuore pulsava terrorizzato, impazzito dalla paura. E con quel pulsare ho capito che stavo uccidendo un essere vivente. Da allora il mio fucile subacqueo giace come un relitto, un reperto archeologico impolverato nella cantina di casa mia. Era il 1967.”
       (Lorenzo Guadagnucci, “Restiamo animali”, Milano 2012)
Di Prof. Peppe Volpe

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